Può uno sguardo cambiare il mondo? Può almeno aiutarci a cambiare prospettiva.

del 09/08/2017


Oggi, in tribunale, ho visto una ragazza.

Non era un'avvocato, non era una praticante come me, era solo una ragazza. Era nell'androne, quello che dà sul Corso di Porta Vittoria, dove ci sono i metal detector e l'ingresso per il pubblico, gli sportelli e il punto informazioni e, chissà perché, non c'è neanche un orologio. Proprio in quel Palazzo di giustizia, proprio in quel grande androne con il soffitto appeso lassù, attaccato al cielo. Oggi è un giorno qualunque di una giornata lavorativa, a Milano. Non tutte le giornate sono qualunque, a Milano, ma tutte sono lavorative, questo sì.

Ero in tribunale per la terza volta in tre giorni. Sono entrato presto, ho cercato la mia aula, ho pensato di poter andare anche a fare richiesta per ritirare una sentenza, ma ho desistito perché mi sono accorto che non avevo tempo. Ma l'avrei voluto fare per fare bella figura con il mio dominus, per dirgli che... ecco. Oggi è la terza volta che entro in tribunale, e le cose pian piano sembrano cominciare ad andare a posto. La statua al centro del cortile diventa familiarmente lì, e non si sposta mai. Ti guida, a seconda di dove guardi. E quelli che mi sembravano soltanto dei corridoi confusionari, con delle aule sparse senza alcuna logica e alcun criterio, hanno cominciato ad acquisire una certa familiarità. Così il cortile grande, quelli piccoli (con l'ufficio sentenze civili), l'ascensore centrale e quelli perimetrali, il bar-tabacchi. L'aula sfratti, dove dovevo andare io, e anche tutti gli altri piani, e in particolare il settimo, dove sta abbarbicato lassù il GIP. Agli ascensori del settimo piano c'è ancora la locandina del Corso di computer forensics in Università che ho frequentato.

Ma sto divagando, perché in fondo, oggi, dal tribunale, porto via soltanto un'immagine. Oggi, in tribunale, ho visto una ragazza. Era bionda, con i capelli raccolti in un codino, come quando le ragazze pensano di non avere altra soluzione per restare belle che legarsi i capelli che non sono riuscite a lavare la sera prima. Aveva due mollette, ora che ci ripenso, rosse. Era in piedi vicino al banco centrale, nel grande androne, dove c'è il primo sportello informativo. Informazioni per il pubblico, o qualcosa del genere. È stato lì che l'ho vista. Aveva in mano dei fogli e una biro e si sentiva che in qualche modo era fuori posto, ho almeno io ho pensato così. Io che, al terzo giorno, già comincio a sentirmi il principe del foro semplicemente perché so dove andare a prendere le marche da bollo. Solo perché ho fatto almeno due volte la fila ai Valori Bollati. Comunque questa ragazza era fuori posto, in un contesto che non era il suo, e forse per questo ha catturato più di altre la mia attenzione. Accompagnava la madre, anziana, e doveva fare richiesta per avere un certificato del casellario penale della madre. Chissà perché, non me lo sono neanche chiesto. Ho intuito che non fossero di Milano. Ho intuito che non fossero della città. Ma, forse, tutti questi pensieri non sono altro che il mio rivestimento ad una situazione che ho visto, ma che non ho nemmeno il diritto di rivestire con una storia. Comunque questo è, e questa mattina, in tribunale, ho visto una ragazza. Aveva occhi grandi e tristi, e nel suo portamento c'era un qualcosa che faceva pensare ad una serena rassegnazione. Aveva quello sguardo tranquillo e profondo di certe donne del sud, quello sguardo dentro cui finiscono il peso di una eredità familiare che non accenna ad allentare la presa, quello sguardo dentro cui finisce una certa miseria e dentro cui ci si perde come guardando lontano il mare all'orizzonte. Chissà perché avesse bisogno del casellario giudiziale penale della madre, forse se non l'avessi sentito adesso non sarei qua a scrivere e non avrei tutta questa storia. Forse, però, se non l’avessi sentito ora penserei ancora al tribunale come a qualcosa fatto di muri e di carte, di uffici e di codici.

Si capiva che si erano preparate per venire in tribunale, vedevo che si era truccata come aveva potuto per venire in tribunale. Ma, ho pensato, non come me o gli altri colleghi avvocati, per guardarci gli uni gli altri e fare i confronti, sfidarci su un'arena di snobismo e rivalità professionale a colpi di pareri e massime. Si era truccata per Il Tribunale, perché in Tribunale non si possono far figure, e perché dopotutto siamo poveri ma mica fessi. Ascoltava le istruzioni che le dava l'impiegata allo sportello informativo, e prendeva appunti con la semplicità ingenua, anzi no, con il candore di una bambina. «Ecco, mamma, dobbiamo andare di qua». Per il casellario giudiziale.

Oggi, in tribunale, ho visto una ragazza. Non so dire cosa fosse, ma è come se ce l'avessi ancora davanti agli occhi. E sto cercando di girarle intorno per capire quale segreto custodisca, quale sia il motivo per cui non solo l'abbia notata, ma l'abbia anche impressa in modo che ora mi sembra indelebile in fondo ai miei occhi. Ecco che si avvicina una bambina. Avrà due anni, e corre per il tribunale lanciando gridolini. Chi di noi avvocati non è cresciuto correndo nei corridoi del Palazzo di giustizia di Milano lanciando gridolini a due anni? Eh? Nessuno? Quando questa bambina si avvicina ai gradini che stanno in fondo all'androne, il mio sguardo cerca la ragazza, e vede questa ragazza insieme alla madre, che guarda la bambina. E sorride. Se questo si chiama sorriso, allora per quasi tutti gli altri conviene forse cambiare nome. Non sono la stessa cosa, e sarebbe quindi più giusto chiamarli con un'altra parola. Le sorride e penso che ci sono donne che con i bambini ci sanno davvero fare. Ci sono ragazze che con i bambini sono davvero la fine del mondo. E quindi la ragazza sorride alla bambina, un sorriso che è allo stesso tempo giocoso e commovente, e la ragazza è sempre lì, con la madre, a far la coda al casellario giudiziale penale.

Arriva il mio turno e mi allontano. Ho quasi dimenticato quello che devo fare, a quale ufficio mi sto rivolgendo, che pezzo di carta devo ottenere. Però entro e, mi viene ora più naturale di prima, saluto. Sorrido.