Si può parlare di libertà senza etica individuale?

La lettura del libro “Di nessuna chiesa”, di Giulio Giorello (2005), mi ha sollecitato la seguente riflessione. Mi soffermo sul passaggio in cui Giorello parla del duplice vincolo (pagina 65) che, se rispettato, rende possibile una società aperta: “1. Ciascun individuo deve avere un uguale diritto al sistema totale massimo di uguali libertà fondamentali compatibile con un simile sistema di libertà per tutti; 2. La libertà può essere ristretta solo a vantaggio della libertà stessa”.

Su questo punto, ritengo, l’etica individuale si pone come uno dei principali esempi di una libertà ristretta a vantaggio della libertà stessa. Specie se lo Stato non può educare ed “obbligare” alla libertà.

 

Se, da una parte, la religiosità stessa è vuota e sterile senza etica (senza, cioè, contribuire a definire il perimetro delle azioni e delle scelte che un individuo dispiega nel mondo – anche Papa Francesco ha detto che è meglio non andare a messa se non si vive il Vangelo negli altri giorni della settimana; in altre parole, se il cristiano non segue un’etica cristiana), dall’altra si avverte l’esigenza di un richiamo all’etica oggi che molte mistificazioni della libertà sono sbandierate per giustificare comportamenti al limite dell’attentato alla pubblica sicurezza (mi riferisco, tra le altre cose, al negazionismo del Covid-19 e alle continue, seppur esigue, manifestazioni che prendono piede sul punto ogni mese in ogni angolo d’Europa).

L’etica individuale, per dirla con un apocrifo Camus, è ciò che distingue l’uomo dall’animale. In mancanza di un’etica, infatti, l’uomo è soltanto “una bestia selvaggia che vaga libera in questo mondo” (la citazione è attribuita a Camus, ma sembra non trovare conferme). In questo senso, e lo cito visto che in “Di nessuna chiesa” vi è un accenno alla Riforma, si doveva costruire la società riformata che ispirava Calvino e che lo stesso Giorello descrive in “Lutero e Calvino: coscienza e istituzione” come una “struttura democratica” al di sopra della quale non vi è (alcun) potere: “né vescovi, né papa; ma non c’era nemmeno un potere laico , nella struttura di Ginevra, che potesse controllare la chiesa”.

Al netto del giudizio storico che si può dare sulla Ginevra di Calvino – qui sta la tragedia dell’uomo, quando chiama in soccorso il diritto – tale “struttura democratica” non era altro che il risultato della somma delle etiche individuali di una società aperta alimentata dalla lettura individuale – resa possibile dalla stampa – che, pur avendo Dio in mente, era idealmente retta in modo realmente democratico dall’impegno di ciascun individuo nello svolgere il proprio lavoro (con Weber, dall’ascesi intramondana per la quale i riformati dovevano vedere nel lavoro, e nella propria etica del lavoro, l’unico senso della propria vita, e nel “perdere tempo” il primo di tutti i peccati e quello più grave, cfr. M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, 1905). 

 

L’etica individuale, però, non può essere imposta dallo Stato dall’alto, né data per scontata. Essa deve essere parte dell’educazione di quegli individui che aspirerebbero a vivere in una società aperta, o anche solo democratica. Essa diviene cruciale in ogni tornante della storia in cui l’uomo si trova di fronte a nuove tecnologie – che dischiudono nuove possibilità e richiedono, pertanto, una ri-definizione dell’umano – e deve essere il fondamento di ogni costruzione sociale che aspiri alla libertà. Vi è un nesso fortissimo tra ciò che potremmo definire una “cultura della libertà” e il riconoscimento della “cultura per la libertà”.

 

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